C’è stato un momento in Italia, a cavallo tra la fine degli anni ’70 e quella degli anni ’90 del secolo scorso in cui l’organizzazione dei concerti delle grandi star internazionali del rock e dei grandi nomi della canzone di autore italiana, passavano attraverso delle figure singolari, come Aragozzini o Zard, persone poliedriche, capaci di poter combinare una buona dose di managerialità con quella del rapporto personale con l’artista.
Grazie a loro sono arrivati nel nostro Paese i Rolling Stones, Madonna, gli U2, per citarne alcuni e personaggi come Antonello Venditti o come Lucio Dalla e Francesco De Gregori hanno potuto compiere dei tour rimasti nella storia della musica.
Ma da una decina di anni le cose sono cambiate e nell’ambito dell’organizzazione di un grande evento come quello del concerto ora a dettare legge sono le multinazionali.
L’arrivo delle multinazionali ha cambiato molto il settore. Hanno acquistato agenzie, fanclub, database, società di rivendita dei biglietti, penetrando in tutta la filiera dei live. Una sorta di Big Brother dell’entertainment. Di cui Live Nation è al comando, vendendo oltre 30 milioni di biglietti in giro per il mondo.
Prima l’industria della musica dal vivo era suddivisa in diverse parti – artisti, promoter, location dei concerti, biglietti, pubblicità e sponsor – , Live Nation ha unito tutto in un’unica piattaforma. La Live Nation Entertainment, presente in 33 Paesi, ha messo le mani sui diversi livelli della produzione di musica live. La società madre, quotata a Wall Street, è una sorta di Scatola cinese composta a sua volta da quattro diverse società: Ticketmaster, leader mondiale nella vendita dei biglietti per gli eventi con oltre 26 milioni di visitatori unici al mese; Live Nation Concerts, che produce più di 20mila spettacoli all’anno per oltre 2mila artisti; Front Line, che gestisce direttamente il management di oltre 250 artisti; Live Nation Network, che si occupa invece del marketing e della pubblicità.